Tre… Uno
M. Antonella Del Monaco
Una successione di tre sogni preannuncerà la fine della mia analisi. L’inconscio mostra - con essi -come l’operazione analitica abbia prodotto degli effetti sul parlêtre, ma sarà l’uso che ne farà l’analizzante, con la sua interpretazione, a dar loro la funzione di punto di capitone del lavoro di analisi. L’inconscio scrive, l’analizzante vi estrae l’S2[1] e se lo assume, ratificando ciò che è cambiato nell’annodamento che la lettre - “analoga a un germe”[2] - ha operato sul godimento del corpo.
Il ritmo è incalzante; una raffica di tre colpi che va a segno centrando il bersaglio: rompe la coalescenza dell’oggetto a con S(/A); toglie il velo sull’esistenza dell’Altro; disfa il godimento su cui si era sostenuto il parlêtre. Nel primo sogno, lo sguardo che si scolla dall’Altro apre ad una prima torsione. L’angoscia, causata dal soggetto destinato - dalla lalingua materna - a morire sotto lo sguardo dell’Altro, si dissolve. L’Altro non è più assoluto, interpreto. Il sogno seguente avanza, logicamente, nell’elaborazione intorno all’Altro che c’è ma non mi vede e al quale mi sforzo di farmi presente. Scoppierò a ridere, esclamando: “ ma a chi parlo? Non c’è l’Altro!” E infine nell’ultimo sogno, quando il parlêtre, sembra, ancora, d’accordo a lasciarsi sommergere dal godimento mortifero, ecco invece, che se ne distacca urlando: Ma chi se ne frega!
L’inconscio è fatto di lalingua materna, scrive J. Lacan nel Seminario XX.[3] Sarà Un sogno prodotto terminata l’analisi, ad indicare un nuovo accordo fra lalingua e corpo: La nonna materna, con il suo corpo mortificato vi incarna gli effetti devastanti de lalingua. Risvegliata dal mio appello, mi mostra una lingua lunghissima - come una pergamena - che lei si stacca e mi porge, perché ne possa fare buon uso. Dò a questo sogno un posto di rilievo. È la cornice che fa da bordo agli altri tre. È un bordo e, allo stesso tempo, una bussola. La lalingua si stacca dall’Altro. Ora, è una pergamena vuota su cui posso scrivere.
NOTES
- “Niente è se non nella misura in cui si dice che è. Chiamo questo S2.” J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora, Einaudi, Torino 2011, p. 131.
- J. Lacan, op. cit, p. 92.
- J. Lacan, op. cit., p. 132.