Il Sogno
Il tema | Testi di orientamento

I traumani [1]

Jacques-Alain Miller

Jacques-Alain Miller

Nel mese in cui non ci siamo visti credo di aver portato a termine quello che ho chiamato l’ultimissimo insegnamento di Lacan[2]. Mi sento più leggero, lo devo dire. Mi ero impigliato, per usare un termine dell’ultimissimo insegnamento.

 

Girare in tondo

Ora ne sono del tutto stordito. Non sono stordito dei giri e delle deviazioni dei detti. In ogni modo, non lo sono più proprio per averne seguito i giri, le sinuosità, i meandri, fino a farne, quello che a volte sogno, una via romana. La via romana è la metafora con cui Lacan illustra il Nome-del-Padre nel Seminario III, una strada che va al di là dei percorsi, delle attribuzioni, dei sentieri di attraversamento. Forse esagero nel dire che sono arrivato a tracciare una via romana. Quando ieri sera, nell’impiegare qualche buona ora per trovare il titolo sia alla prima che all’ultima lezione del Seminario XXV. Il momento di concludere, ho avuto il sentore che stavo ricostruendo la via romana di questo ultimissimo insegnamento, una via romana tra tutti questi meandri.

Tuttavia la metafora della via romana non si adatta ai nodi borromei e neppure al toro (la camera d’aria), i due oggetti matematici che Lacan inserisce nel suo ultimissimo insegnamento. Due bussole di cui si serve che non indicano esattamente dei punti cardinali, questi punti in croce che permettono di orientarsi a partire dalla propria posizione.

Le bussole sono diventate più complesse e più precise con lo sviluppo che ha dato il GPS, restano degli strumenti che indicano la direzione verso cui andare. Sapete che è una metafora che mi è sempre stata cara dato che ho intitolato il mio corso, fin dall’inizio, L’orientamento lacaniano.

Nell’ultimissimo insegnamento di Lacan la direzione è quella di girare in tondo, fino all’inerzia, siamo in un altro ordine di metafora. L’ultimissimo insegnamento di Lacan esplora la struttura del girare in tondo (per usare un termine che qui viene scrupolosamente evitato per ragioni che ricostruisco e dirò tra poco). Il girare in torno ha una struttura. Lo si vede nel nodo boromeo che associa più giri in tondo secondo una disposizione a primo acchito sorprendente, e mostra che il girare in tondo comporta una complessità a cui non potevamo immaginare. Il toro invece associa il girare in tondo e il buco. Possiamo utilizzare gli anelli di corda come dei tori, tori che sono suscettibili di essere associati in modo borromeo.

Ricostruire e semplificare nell’insieme i disegni di Lacan presenta ovviamente delle difficoltà che non si riferisce a questo, ma nel redigere ciò che resta della parola.

A farsi trasportare dal girare in tondo si resta storditi. Ciò che permette di farci uscire dallo stordimento è la struttura. Quel che mi ha stordito oggi, stamattina, in questo momento, è uscire dal dialogo con Lacan che mi ha risucchiato e dove mi sono rinchiuso, dove ero a mio agio, tanto più che mi sono dimenticato di voi, per uscirne e darvene un resoconto.

Vi informo che ho redatto per intero quattro Seminari di Lacan, l’editore li pubblicherà secondo il suo ritmo. Per incoraggiarmi aggiungo che sarò a sei, spero, il prossimo settembre. Se è necessario che rassicuri coloro che si preoccupano per la realizzazione di questo compito, prima che io sparisca, che mi trovano già un po’ malato, che avrò ancora altri sei seminari da redigere prima di passare ad altre cose.

L’ultimissimo insegnamento di Lacan è costituito da due Seminari, il XXIV, quello che segue Il sinthomo, e il XXV. Lo farò pubblicare in un solo volume, quando sarà disponibile l’opera completa consterà di 25 seminari in 24 volumi. Dopodiché Lacan non ha smesso di prendere la parola, mi aveva consegnato dei fascicoli e quello che aveva detto nel 1980 era già stato pubblicato all’epoca. Non si tratta più, vi informo, del Seminario di Jacques Lacan.

Ritengo che Lacan abbia fissato come limite del suo Seminario proprio il Seminario XXV del 1977/78 dandogli come titolo Il momento di concludere. Questo ci dimostra che lo dobbiamo prendere alla lettera. Evidentemente questo titolo fa riferimento alla logica temporale, sviluppata e pubblicata, alla fine della seconda guerra mondiale, dal titolo Il tempo logico e l’asserzione di certezza anticipata. Il tempo di concludere chiarisce meglio quel che lo ha preceduto. D’altronde Il momento di concludere non sarà pubblicato alla fine del suo seminario, ma durante il corso.

Il tempo è sicuramente una preoccupazione per Lacan nel momento di interrompersi, ma non soltanto. Già in passato, nel suo scritto Radiofonia aveva esposto il principio de ci vuol del tempo per l’analisi. Possiamo rilevare che in seguito Lacan ne ha riparlato ne La topologia e il tempo che figura erroneamente sulla copertina dei Seminari. Non l’ho fatto scrivere io, ma qualcuno delle Edizioni du Seuil che voleva assicurarsi che fossero tutti pubblicati aggiungendo un titolo per ogni anno. Ho lasciato stare, ma vi dico che non ci sarà né un Seminario XXVI né XXVII. È un’indicazione che Lacan si è preoccupato del rapporto tra la topologia e il tempo. Lo vediamo fin da Il Seminario Il sinthomo. Non si tratta di un tempo lineare per andare da A a B, la cosiddetta via romana, il tempo della traiettoria quando si spera che dopo ci sia qualcos’altro. Il tempo associato alla topologia è anzitutto un tempo circolare, è il tempo di girare in tondo, non ha a che fare con l’assenza di tempo.

 

Condannato al sogno

L’assenza del tempo è l’eternità, ne Il momento di concludere Lacan dice che è una cosa che si sogna. Se è una cosa che si sogna non è peculiare dell’eternità. Nell’ultimissimo insegnamento di Lacan sfilano delle cose che si pensava non si sognassero, delle quali si scopre che ce ne è almeno uno che pensa che siano dei sogni o, spostando leggermente, dei fantasmi.

Il sogno dell’eternità, che Lacan censura già ne Il Sinthomo, consiste nell’immaginare che ci si svegli. Conformemente a quello che appare nello scritto che mette un punto finale al Seminario Il Simthomo, conformemente a l’esp d’un laps, l’ultimissimo insegnamento di Lacan si sviluppa in uno spazio in cui non c’è risveglio, dove il risveglio, lo cito, è impensabile, dove il risveglio stesso è un sogno. Diciamolo chiaramente, Lacan è realista, realista nel senso del reale. Abbiamo mai visto che per qualcuno la passe è un risveglio?

Se non c’è un risveglio vuol dire che non se ne esce. È precisamente ciò che si presta alla risata, è qui che Lacan mette un nuovo accento, la vita è comica. Ah! Aveva già detto che la commedia trionfa sulla tragedia. L’aveva detto in nome del fallo, in nome del valore sessuale sempre nascosto, anche in fondo al dolore, all’impasse, nella faglia del rapporto con l’Altro. La commedia riguarda il vano girare in tondo. Il sinthomo stesso riceve la stessa valenza, di essere l’inconscio in quanto non se ne esce.

Ecco perché talvolta, ma non sempre, Lacan formula che nel suo ultimissimo insegnamento non c’è liberazione, dissoluzione dal sinthomo. Altre volte può parlare di disfarlo. Si tratta solo dei viottoli del sinthomo e non del sinthomo come via romana, del sinthomo come nuova via romana che è il girare in tondo. Nessuna liberazione dal sinthomo, si tratta solo di sapere, dice, il perché ci si è impigliati.

Quest’affermazione problematica stabilisce un legame altamente discutibile tra psicoanalisi e sapere, un legame sospetto, aggettivo che Lacan usa nel suo ultimissimo insegnamento. Possiamo parlare di un legame tra l’analisi e il sapere dove si immagina di progredire chiarendo ciò che è l’analisi per quel che si crede essere il sapere, per quello che si crede sapere. È proprio questa la questione aperta nell’ultimissimo insegnamento: che cos’è il sapere? Nell’ambito dell’ultimissimo insegnamento si può dire che il sapere non è un risveglio, e se potessimo scegliere, sarebbe piuttosto un sogno. È qui che Lacan scava il suo girare in tondo. L’essere umano, come lo scriveva in quel momento, les trumains, l’essere umano è condannato al sogno.

Les trumains

Ah! Ce n’è da dire sui trumains rispetto a quello che Lacan chiamava il parlessere.

Il parlessere

La prima differenza sta nell’aver privilegiato il plurale. Nel leggere e redarre colgo che Lacan mette l’accento sul fatto che l’essere umano è per definizione sociale. La topologia così evidente nei suoi fasti borromei e torici è costantemente doppiata da una sociologia. Ecco che Lacan ritrova i suoi amori di gioventù: aveva affrontato il tema della famiglia utilizzando i riferimenti della sociologia e dell’etnologia che ritroviamo anche in seguito. La sociologia di Lacan permette di avanzare un sospetto sul fantasma come onnipresente.

Vedete per esempio l’osservazione, che avremo potuto trascurare, che si trova nella penultima lezione del Seminario Il momento di concludere: Perché il desiderio diventa amore? I fatti non permettono di motivarlo. Possiamo notare il suo riferimento al fattuale, occorre distinguere dei livelli. Lacan non fa a meno di opporre i fatti al fantasma, anche se, a un altro livello, l’attribuzione dei fatti può essere essa stessa sospetta.

Si, Lacan dice i fatti allo stesso modo di ciò di cui si parla nell’ultimissimo insegnamento, utilizza per la maggior parte vocaboli di uso corrente della lingua. La spoliazione della lingua riguarda precisamente l’eviscerazione dei fantasmi. Nell’atto del redigere sopprimo delle virgolette perché sennò non sarebbe leggibile, ma ne lascio a sufficienza affinché si possano cogliere che i termini tecnici, quelli della psicoanalisi, siano presi con delle pinzette e messi a distanza. C’è un contrasto costante tra l’uso della lingua, quella più familiare e l’ipercriticismo apparente e evidente delle figure topologiche.

Perché il desiderio diventa amore? I fatti non permettono di dirlo. Senza dubbio ci sono degli effetti di prestigio. Possiamo andare difficilmente più lontano nel segreto svilimento della vita amorosa. E includendo così il sembiante nella vita amorosa, Lacan porta questa nozione nel registro della sociologia. Lo stesso discorso vale, a mio avviso, quando osa dire che l’interpretazione – la nostra santa interpretazione che è tutto quello che abbiamo per operare nella nostra tradizione lessicale, quantomeno semantica – dipende dal peso dell’analista. Ecco un altro effetto di prestigio. All’occasione questo movimento arriva fino a ridurre l’interpretazione alla suggestione, horresco referens.

 

Con un lamento

L’ultimissimo insegnamento di Lacan è un gioco al massacro. Ecco perché contrariamente alle apparenze è così divertente da renderlo di gran lunga superiore a qualsiasi Libro nero della psicoanalisi[3]. Il gioco al massacro si spinge a sostenere che l’analisi è una magia, ma si! Con i mezzi del bordo – cioè essenzialmente con la parola che poggia sugli effetti di prestigio – ci si sforza di smuovere una cosa velata immaginando di riuscirvi. Quando si è in due a immaginarlo già va meglio, ma non costituisce una prova contro la riduzione della psicoanalisi alla magia. Aggiungo un’affermazione di Lacan a cui Pierre Bourdieu non avrebbe fatto obiezione: l’analisi è un fatto sociale. Questo non significa che l’analisi sia tra l’altro un fatto sociale. Al contrario è una definizione di essenza.

Quanto ho appena rievocato è sufficiente per sostenere la tesi seguente: tutto l’ultimissimo insegnamento costituisce una deflazione della psicoanalisi, nello stesso tempo in cui Lacan, quasi fino all’ultimo respiro, si affanna per la psicoanalisi, dando così testimonianza come se fosse un martire della psicoanalisi. Si tratta di sapere se questo movimento sia salutare. Una deflazione dell’analisi, e sottinteso anche degli psicoanalisti, verso cui Lacan aveva già iniziato, una deflazione o, diciamo, uno sgonfiamento.

Vi svelo il verso che mi è venuto in mente mentre rivedevo per l’ultima volta Il momento di concludere. È un verso di T. S. Eliot, una delle letture di Lacan che ritroviamo nel Seminario. Lacan sceglie di terminare utilizzando T. S. Eliot anche nel discorso di Roma, Funzione e campo della parola e del linguaggio, passaggio in cui il tuono dice bang, bang! Riferimento che viene da Upanishad: Da da da! Dice il tuono, un’importante poesia di T. S. Eliot che si intitola The waste land, La terra desolata. Il vero di T. S. Eliot che mi è venuto in mente è senza dubbio quello più citato in ambito anglo-americano, ultimo verso della poesia Gli uomini vuoti[4]. The hollow men si presta a molte interpretazioni che vanno d’accordo con l’uomo torico, anch’esso vuoto, che propone Lacan. Ci sono molte tesi sulla provenienza di hollow men di T. S. Eliot. Egli sostiene di aver preso hollow da una parte, men altrove. La stessa espressione la ritroviamo pronunciata dalla bocca del cospiratore Cassionel Giulio Cesare di Shakespeare. In T. S. Eliot ha senza dubbio un valore pascaliano: il cuore dell’uomo è vuoto e pieno di sporcizia. L’inizio della poesia brulica di risonanze nella descrizione dell’essere umano, degli ultimi uomini, dell’ultima delle civiltà. Lo leggo perché mi possiate seguire. Non è questo il verso che mi è venuto, che è proprio l’ultimo, ma ci dà comunque l’atmosfera.

Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia. Ahimé!
Le nostre voci secche, quando noi
Insieme mormoriamo
Sono quiete e senza senso
Come vento nell’erba rinsecchita
O come zampe di topo sopra
vetri infranti
Nella nostra arida cantina

Figura senza forma, ombra
senza colore,
Forse paralizzata, gesto privo di moto

Questa poesia termina su due versi, il primo viene ripetuto tre volte.
È questo il modo in cui finisce il mondo
È questo il modo in cui finisce il mondo
È questo il modo in cui finisce il mondo
Non già con uno schianto ma con un lamento.

È questo il verso che mi è tornato all’istante in mente. È questo il modo in cui finisce il mondo, non con un Bang, non con un Boom, non finisce con un colpo di tuono come finisce il Discorso di Roma, ma finiscesu un whimper, tradotto “con un lamento”. Un lamento è anche un gemito e per me il rumore della camera d’aria che si sgonfia. Secondo me Lacan non ha scelto di finire il suo Seminario sul tuono – è il culmine del famtasma – rimanda alla voce umana, lo finisce sullo sgonfiamento del toro psicoanalitico. Finisce a piccoli passi, con uno zampettare da topo.

Tuttavia la dice lunga. Grazie a Google ho verificato che i riferimenti a questo verso sono tantissimi: si chiamano così dei gruppi rap, dei film, alcuni articoli scientifici lo pongono in esergo come titolo, appare ovunque nella cultura anglo-americana. Questo mi sembra tradurre il valore da dare alla deflazione della psicoanalisi verso cui Lacan ha scelto di procedere.

La sua “sociologia”, come l’ho chiamata - vedete che anch’io prendo le parole con le pinze – riguarda l’apprendimento della lingua sia nel Seminario XXIV che nel Seminario XXV.

Possiamo notare la distanza che Lacan prende dal fantasma della struttura. Il fantasma della struttura comporta esplicitamente che la lingua è già là, piuttosto che mettere l’accento sull’apprendimento. Al contrario l’accento viene messo sulla tessitura dell’apprendista. È da intendere nella maniera più semplice possibile, si impara a parlare, questo lascia delle tracce, dice Lacan, questo porta delle conseguenze che chiamiamo il sinthomo. Si impara a parlare dai parenti stretti, è la faccia del grande Altro nell’apprendimento della lingua.

È questa la sociologia immediata del parlessere, ecco perché il parlessere è i traumani. Sono in grado di spiegarvelo! È necessario che lo faccia, non lasciare che i traumani si volatilizzino. Sui traumani si avvita la sociologia di Lacan.

È per questo che Lacan può formulare non c’è rapporto sessuale, che l’insieme di ciò che potrebbe essere rapporto sessuale è un insieme vuoto, e allo stesso tempo che c’è rapporto sessuale tra genitori e figli, o che c’è rapporto sessuale tra tre generazioni, tra coloro da cui avete imparato la lingua, o meglio coloro che vi hanno insegnato la lingua e il superio che essa ha veicolato, cioè il deposito di cultura, il brodo di cultura che vi hanno fatto bere. Da un lato non c’è rapporto sessuale, ma dall’altro c’è tuttavia l’Edipo, un oggetto, la madre, con la quale c’è rapporto sessuale, benché qualcuno o qualcosa vi faccia pur sempre ostacolo.

 

Leggere diversamente

Mi chiedevo quale potrebbe essere il sapere intrinsecamente associato alla psicoanalisi? La risposta che possiamo individuare ne Il momento di concludere sta nella definizione: il sapere consiste nel leggibile. A prescindere dal sospetto che getta su L’interpretazione dei sogni, di cui dice che è impossibile comprendere ciò che Freud abbia voluto dire, intendendo che si tratta di un delirio, del resto non se ne esime pure lui stesso dicendo che si accusa di aver delirato nel suo Seminario.

Possiamo ammettere che il sogno, il motto di spirito, il lapsus si leggono. Interpretare è leggere diversamente. Un’altra volta si pone la questione soggetto supposto sapere che cosa?, e dà questa risposta: soggetto supposto leggere diversamente a condizione di legare questo diversamente a S(Ⱥ).

S(Ⱥ)

Leggere diversamente significa che non possiamo attribuirlo a nessuno. Leggere diversamente non è leggere il Grande Libro della creazione, la creazione dell’inconscio per esempio, ma comporta qualcosa di arbitrario. Non è “scientifico”, mettendolo tra virgolette perché abbiamo perso fiducia anche in questo sapere. Leggere diversamente non è automatico, neppure la verità, anche se possiamo abbellirlo con questo nome, dargli prestigio. Comporta invece qualcosa di aleatorio. Semplicemente, l’interpretazione come leggere diversamente chiede il supporto della scrittura, cioè il riferimento al fatto che i suoni emessi possano scriversi diversamente da come è stato voluto. Lacan lo dice in un modo che sottolinea il carattere abbozzato: nell’inconscio c’è sicuramente una scrittura. L’altra lettura si appoggia sull’intenzione di dire qualcosa. l’altra lettura, quella dell’analisi si appoggia sul fatto che l’analizzante vuol dire qualcosa. Intenzione che attribuiamo alla coscienza, all’io, è a partire da questa intenzione che si definisce la coscienza, da cui il valore che Lacan attribuisce alla svista, quando le parole non rispondono alle intenzioni.

Insomma, quello che Lacan chiama simbolico si rivela essenzialmente inadeguato. L’ultimissimo insegnamento di Lacan è alle prese con l’inadeguatezza del simbolico, altrimenti non avrebbe avuto ragion d’essere. Il simbolico è un fattore di confusione, è il significante che permette che non se ne venga fuori. Il significante è responsabile, nell’essere umano, del non-rapporto sessuale. Il non-rapporto sessuale, è comunque dir troppo rispetto a Il momento di concludere, è un rapporto sessuale confuso.

L’amore è confusione. Il momento in cui si produce il passaggio dal desiderio all’amore è fatto un po’ come capita, a mozzichi e bocconi. Nell’ultimissimo insegnamento di Lacan bisogna affidarsi allo svilimento del simbolico. Prima non era sicuramente così, Lacan fa un’autocritica dicendo: con la linguistica ho delirato.

In che cosa ha delirato con la linguistica è stato proprio quello di aver messo l’accento sul primato della parola sulla cosa, di attribuire alle parole il potere di fare le cose. È così che egli rendeva conto della Cosa freudiana come di un modellamento delle cose sulle parole. La psicoanalisi prevedeva allora che la struttura linguistica prevale in ogni caso. La parola struttura era al suo posto e in primo piano.

Nell’ultimissimo insegnamento, senza pronunciane la parola, si costituisce tutta un’altra definizione della struttura. Leggo la prima riga dell’ultimissima lezione, quella dell’8 maggio 1978: Le cose possono legittimamente essere dette sapersi comportare. L’avverbio legittimamente è divertente, viene al posto di veridicamente. Non siamo nel vero, abbiamo il diritto. Legittimo è un termine che rinvia alla sociologia.

Le cose possono essere dette sapersi comportare. Se c’è una struttura, non si tratta di una struttura linguistica, ma di una struttura della cosa. Il che suppone un sapersi comportare, sapersi comportare meglio di quanto sappiamo farlo noi stessi, come lo dimostrano le sorprese prodotte dagli oggetti matematici, proprio quelli che maneggia Lacan. Tolgo il termine matematici, poiché egli fa degli oggetti che sono talvolta manipolabili con le mani mediante pressione. Le cose sanno comportarsi differentemente ai traumani che non sanno come comportarsi, “in ragione”, tra virgolette, a causa della struttura simbolica, della scuola di confusione e di perdizione che costituisce la lingua. È proprio perché i traumani non sanno comportarsi che sono state inventate delle tecniche, a loro beneficio, per insegnare loro come comportarsi.

L’emergere e la fioritura delle nostre TCC ( Terapie cognitivo-comportamentali) si appoggiano sulla confusione del simbolico, mentre le cose ne fanno a meno. È la psicoanalisi che tenta di fare in modo che un traumano sappia comportarsi con il sinthomo.

 

Immaginare il reale

In altre parole, il problema che non poteva essere formulato nel delirio linguistico lacaniano è l’inadeguatezza delle parole alle cose, che vuol dire, facendo un’astrazione, l’inadeguatezza del simbolico al reale. Se ricordo bene, proprio nell’ultima lezione vediamo Lacan raffigurare questa adeguatezza mediante l’allacciamento dei due cerchi, quello del simbolico e del reale. Allacciamento che starebbe a dimostrare che possono stare assieme e che l’immaginario è altrove. Non è lontano da ciò che Lacan ha formulato all’inizio del suo scritto La lettera rubata. Tuttavia viene rimesso in discussione nell’ultimissimo insegnamento dicendo: l’adeguatezza del simbolico al reale fa le cose fantasmaticamente. È un fantasma credere che la parola faccia le cose, che il simbolico sia adeguato al reale. Per fantasma, parola chiave de Il momento di concludere, Lacan non la considera come un sogno, ma se ne distacca, è un’aspirazione, una suggestione dell’immaginario attraverso il simbolico.

Ecco quel che mette in questione la definizione della psicoanalisi mediante il sapere. Perché? Il sapere non è che un fantasma, non è che un’aspirazione del simbolico che suggerisce l’immaginario. Fin dalla prima lezione de Il momento di concludere, Lacan sostiene che la geometria euclidea ha tutti i caratteri del fantasma. Ad esempio dell’idea della linea retta, di cui aveva già fatto una critica, se ne era sbarazzato nel seminario Il sinthomo.

Con la topologia Lacan cerca di uscire dal fantasma geometrico. Per mostrare questo tentativo non ho trovato niente di meglio di una frase che troviamo nell’ultima lezione de Il momento di concludere, espressione che appare en passant in una frase: Non c’è nulla di più difficile che immaginare il reale. A conti fatti ha costituito per me il titolo dell’ultima lezione di Lacan, è come la parola d’ordine de Il momento di concludere, di uno sforzo che ha lasciato perplessi tutti coloro che non erano i lavoratori aiutanti di Lacan in questo compito.

Il tentativo è quello di immaginare il reale proprio perché il simbolico non è adatto al reale, poiché il simbolico è associato al reale solo attraverso il fantasma come suggestione immaginaria che bisogna provare ad associare il reale all’immaginario, d’immaginare il reale. Ecco la chiave di tutte le operazioni di Lacan nel suo ultimissimo insegnamento. Immaginare il reale avviene con la materializzazione di queste strane figure, figure d’oggetto. Questa materializzazione, precisa Lacan, è una materializzazione del filo del pensiero. Metto questo enunciato in rapporto con quello che ha detto: l’analisi è un fatto sociale che si fonda sul pensiero. Qui Lacan tenta quella materializzazione del pensiero. E anche immaginare il sapere delle cose con delle precauzioni oratorie, parlando. Questo è il ritmo, ciò che viene detto è dell’ordine della precauzione oratoria per mostrare che ci sono delle cose che sanno comportarsi, mentre noi corriamo dietro a esse, dietro al modo in cui esse si rigirano, si rovesciano, si legano, ecc.

Questa materializzazione diventa evidente quando si procede verso ciò che costituisce l’atto maggiore nell’ultimo insegnamento di Lacan, l’atto di tagliare, che rende evidente che abbiamo a che fare con della stoffa, con dei tessuti. Ciò rinvia a ciò che la psicoanalisi ha della stoffa.

Iniziare il seminario Il momento di concludere dicendo che l’analisi è una pratica della chiacchiera implica una devastazione della parola, ma è precisamente perché è una pratica della chiacchiera dove tutto poggia su questo punto: l’analista sa come comportarsi? Ecco l’opposizione nella chiacchera, l’analizzante parla, scrive la poesia – bisogna rimaner sorpresi. Scriver la poesia non è l’interpretazione che appartiene alla poesia ne Il momento di concludere. È un passo in avanti rispetto a quello che ho detto precedentemente.

 

Chirurgia

L’analizzante parla mentre l’analista taglia. I tentativi topologici di Lacan moltiplicano le raffigurazioni di ciò che l’analista taglia. Rappresentazioni di taglio che hanno il potere di cambiare la struttura delle cose.

Non è più la parola che fa la cosa, ma il taglio che cambia la struttura degli oggetti rappresentati. La difficoltà maggiore sta nel fatto che se il simbolico è inadeguato al reale non si riduce certo quel che Lacan chiama faglia tra l’immaginario e il reale, faglia dove si colloca la nostra inibizione a immaginare come si comportano le cose di cui si tratta. Lacan fa qui l’esempio del calpestio necessario per sormontare l’inibizione.

Tutto questo non toglie serietà alla psicoanalisi. Se le parole non hanno il potere che supponevamo quando si delirava, ciò non toglie che ci siano delle conseguenze di cui dobbiamo renderci conto, e valutare. Occorre, dice Lacan, che: L’analista si renda conto della portata delle parole per il suo analizzante.

Il modello dell’atto analitico nell’ultimissimo insegnamento e nella sua ultimissima pratica, è il taglio. Agire per mezzo del pensiero confina con la debilità mentale, dice. Ecco perché cerca di elaborare un atto che non sia debile, un atto che non sia debile a livello mentale, stando alle sue parole. Quest’atto per come appare in ciò che resta de Il momento di concludere, un atto che non abbia debilità mentale che non passi dal pensiero è il taglio.

È per questo che prendo sul serio quell’aspirazione di cui testimonia Lacan in una forma che merita di essere ricordata: elevare la psicoanalisi alla dignità della chirurgia. Avrete fatto caso che ha la stessa forma sintattica che si rifà a quella che aveva utilizzato a proposito della sublimazione: elevare l’oggetto alla dignità della Cosa. Ecco il fantasma di Lacan esprimersi in questa aspirazione. Si tratterebbe di una sublimazione. Elevare la debilità psicoanalitica alla sicurezza sovrana del gesto chirurgico del taglio, ecco la salvaguardia della psicoanalisi.

Traduzione di Laura Ceccherelli

NOTE

  1. Les trumains è un neologismo formato a partire dalla condensazione omofonica tra l’être humain (l’essere umano) e le trauma (il trauma).
  2. Corso tenuto al dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII nell’anno accademico 2006/2007, lezione del 2 maggio 2007. testo stabilito da Pascale Fari.
  3. C. Mayer (acura di), Il libro nero della psicoabalsi, Fazi, Roma 2006.
  4. T.S.Eliot, Gli uomini vuoti, in Opere, Bompiani, Milano 1992, pp.658-659.